Qui di seguito cercheremo di analizzare la situazione del nostro Paese per quanto riguarda il tasso di disoccupazione relativamente al 2020.
L’emergenza sanitaria si è abbattuta in maniera piuttosto forte sui giovani.
Infatti, stando ai dati Istat di dicembre 2020, il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è tornato a sfiorare il 30%; siamo al 29,7%, in aumento di 1,3 punti su dicembre 2019 (poco prima che scattasse l’emergenza coronavirus).
Peggio di noi solo Spagna e Grecia. Anche l’occupazione per gli under 25 è al palo: dicembre 2020 su dicembre 2019 il relativo tasso è sceso di 2,4 punti. È diminuito anche il tasso di occupazione della fascia d’età 25-34 anni, -1,8 punti. Numeri fiacchi anche per quanto riguarda l’incentivo alle assunzioni giovanili: a ottobre (ultimo dato Inps) ne hanno beneficiato in 67.731.
Il problema della competenze
A questa difficoltà di inserirsi nel mercato del lavoro, per i giovanissimi si è aggiunto un preoccupante gap di competenze tra il 30 e il 50% in matematica e nelle lingue per via della scuola “a singhiozzo” che va avanti da un paio d’anni. Non solo. Durante i mesi del lockdown, l’Istat ha stimato che circa tre milioni di studenti di età compresa tra i 6 e i 17 anni hanno avuto difficoltà a seguire le lezioni nella modalità didattica a distanza, soprattutto per carenza o inadeguatezza dei dispositivi informatici in famiglia. Tale situazione è accentuata nel Sud, dove interessa circa il 20% dei minori.
Mancano i laureati
La situazione è preoccupante anche per i laureati. L’Italia (secondo alcuni dati pre pandemia) si colloca tra gli ultimi posti, con un tasso di laureati fra i più bassi d’Europa, pari al 27,8% nel 2018, a fronte di una media europea pari al 40,7%, e un tasso di occupazione dei neolaureati pari al 56,5% nel 2018 (rispetto a una media europea dell’81,6%), superiore solo a quello della Grecia. In questi mesi la situazione non è certo migliorata.
Il tasso di disoccupazione ed i flop di Garanzia giovani e decreto dignità
A pesare su una generazione che rischia di perdersi sono state anche le scelte, non tutte azzeccate, dei precedenti governi. La stretta del decreto dignità ha fatto crollare le assunzioni a termine (di solito il primo impiego per molti giovani). La stessa Garanzia giovani ha prodotto numeri bassissimi, confermando l’esistenza di tanti mercati del lavoro territoriali, alcuni al top, generalmente al Nord, altri in forte affanno, da Firenze in giù.
Il tasso di disoccupazione in Italia può abbassarsi con il Recovery Plan?
A fronte di questa emergenza, ci si aspettava di più dal Recovery Plan. Come evidenziato anche dagli esperti dell’Asvis, nelle bozze di documento non v’è attenzione al programma garanzia giovani, da migliorare. Poi: nei capitoli “core”, orientamento-materie Stem, apprendistato, Its, dottorati industriali, si appostano, complessivamente, 9 miliardi circa. Ce ne vorrebbero invece molti di più. Proprio sui giovani il premier incaricato Mario Draghi è piuttosto attento.
Il rilancio di Stem e filiera professionalizzante
Prendiamo due esempi. Nelle materie Stem, quelle tecnico-scientifiche, l’Italia è da anni fanalino di coda con una bassa quota di laureati tra i 25 e i 34 anni in queste discipline (24,6%) e un forte gap di genere (le donne sono poche). Qui a pesare, da sempre, è un orientamento quasi inesistente già a partire dalle scuole medie, unito a un disinteresse degli insegnanti verso le esigenze di aziende e territori (anche le iscrizioni alle superiori al prossimo anno continuano a premiare i licei, e in genere, le scelte dei ragazzi, anche di istruzione terziaria, vanno verso titoli di studio con scarsi sblocchi occupazionali). Ecco allora che nel Recovery Plan ci si attendeva un’inversione di rotta, che peraltro (a parole) trova tutti d’accordo. E invece al capitolo «Competenze Stem e multilinguismo» ci sono 5,02 miliardi. Troppo pochi, e gli obiettivi, peraltro, come i progetti di spesa, non sono chiari. C’è poi da far decollare formazione professionalizzante, Its, apprendistato. Anche qui l’obiettivo deve essere più ambizioso: creare un sistema stabile di incentivi per un percorso di filiera con un link stretto con le aziende, a cui riconoscere un solido ruolo educativo. Negli altri Paesi tutto ciò è realtà (strutturata) da anni. In Italia, ancora no.